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CARNEVALE DI VENEZIA Storia delle Maschere di Carnevale

La Storia di Arlecchino

 

Pare che la più antica maschera di Carnevale sia Arlecchino. Di origine bergamasca, diventò ben presto la maschera veneziana per eccellenza grazie a Carlo Goldoni che lo trasformò, nella sua commedia “Arlecchino servitore di due padroni”, da servitore sciocco a figura sveglia, furba, maliziosa e vincente: quasi diabolica .. legata quindi alla sua origine.

ARLECCHINO: DAGLI INFERI ALL’ALLEGRIA

La radice del nome Arlecchino è di origine germanica: “Hölle König”, traslato in “Helleking”, poi in “Harlequin” significa appunto “Re dell’Inferno”.

La maschera di Arlecchino ha origine dalla contaminazione di due tradizioni: i “personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese” da una parte, e, lo Zanni bergamasco dall’altra.
Per la ritualità agricola, già nel XII secolo, Orderico Vitale nella sua “Historia Ecclesiastica” racconta dell’apparizione di una “familia Herlechini”, un corteo di anime morte guidato da questo demone/gigante.
Un demone ancora più noto con un nome che ricorda da vicino quello di Arlecchino è stato l’ “Alichino” dantesco che appare nell’Inferno come capo di una schiera diabolica.
Anche in epoca pagana era credenza condivisa in tutto il centro e nord dell’Europa che nel periodo “oscuro” (invernale) dell’anno e in occasione di feste particolari, come la notte di Valpurga, una Caccia Selvaggia composta di spiriti dei morti corresse per il cielo e sulla terra, con a capo una divinità secondo il pantheon del luogo. Questa Caccia Selvaggia pagana è divenuta poi la schiera dei morti inquieti (i “dannati”) sotto il cristianesimo. I nomi sono numerosi per designare questa cavalcata spaventosa. Inizialmente, le Hellequins – o Herlequins – erano le donne che cavalcavano con la dea della morte Hel, durante le cacce notturne. Ma passando nella cultura francese, Hel divenne un uomo, il re Herla o Herlequin, uno spirito della natura mascherato che, ereditato dalla commedia dell’arte italiana, conserverà soltanto l’aspetto del travestimento del personaggio.

Col tempo, infatti, l’aspetto e il significato demoniaco diventano sempre meno importanti, e Arlecchino diventa lo Zanni un po’ imbranato, quasi suonato: “Son Arlechin batòcio, orbo de na recia e sordo de un’ocio” (batocio inteso come batacchio della campana) a volte furbo, a volte sciocco. Arlecchino è quindi un personaggio diretto discendente di Zanni (Zanni, come Zuan, è una versione veneta del nome Gianni) dal quale eredita la maschera demoniaca (sebbene spesso la maschera di Zanni è stata rappresentata bianca) e la tunica larga del contadino veneto-bergamasco.
La “carriera teatrale” di Arlecchino nasce a metà del cinquecento con l’attore di origine bergamasca Alberto Naselli (o probabilmente Alberto Gavazzi) noto come Zan Ganassa che porta la commedia dell’arte in Spagna e Francia sebbene fino al 1600 – con la comparsa di Tristano Martinelli – la figura di Arlecchino non si possa legare specificatamente a nessun attore.

Fra le maschere italiane è certamente la più conosciuta e popolare. Arlecchino ha un carattere stravagante e scapestrato. Ne combina di tutti i colori, inventa imbrogli e burle a spese dei padroni avidi e taccagni dei quali è a servizio, ma non gliene va bene una. Arlecchino non è uno stupido, magari un po’ ingenuo, talvolta forse un po’ sciocco ma ricco di fantasia e immaginazione. In quanto a lavorare nemmeno a parlarne. Arlecchino è la più simpatica fra tutte le maschere. Ancora oggi, dai palcoscenici dei teatri o nel mezzo di una festa di carnevale, incanta e diverte il pubblico dei bambini e non solo.

LA LEGGENDA DEL VESTITO  DI ARLECCHINO

Il suo costume famosissimo e tradizionale è composto da una maschera nera e fiammante e un vestito fatto di losanghe lucenti multicolori.
Anche qui una leggenda si propone di spiegare qual è l’origine dell’abito tutto colorato di Arlecchino. Si racconta che Arlecchino era un bambino che faceva parte di una famiglia molto povera. In occasione del Carnevale a scuola la maestra decise di organizzare una festa, alla quale però il bambino era l’unico a non poter partecipare, perché non poteva permettersi un costume adeguato. Vennero in suo aiuto i suoi compagni di scuola, che, spinti da un senso di solidarietà, portarono alla madre di Arlecchino, ciascuno un pezzetto di stoffa del proprio vestito. Con tutti questi pezzetti di stoffa la madre del povero bambino realizzò un vestito originale, che si caratterizzava per le sue variegate tonalità. Arlecchino fu il bambino più ammirato il giorno della festa di Carnevale.

Tutti da piccoli ci siamo mascherati da Arlecchino. Nell’immaginario collettivo lui è il Carnevale. I colori del suo costume richiamano i coriandoli che invadono il cielo nei giorni carnevaleschi. Mi piace immaginare Arlecchino che corre tra una calle e l’altra di Venezia, forse un po’ goffo e impacciato, ma sicuramente sempre allegro. Nel cuore siamo tutti un po’ Arlecchino e forse è per questo che amiamo così tanto questa maschera.

Di Giorgia Zatta

Fonti: www.wikipedia.org ; http://venezia.myblog.it/tag/arlecchino

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