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Maurizio Crovato

Arsenale? Che fare

 

Casso. Uso un semplice toscanismo apparso nella Divina Commedia di Dante “…e fia tre volte casso…”

ovvero respinto, per citare il sommo poeta, che non avrebbe mai e poi mai detto una parolaccia. Solo per citare Dante quando parla de > …> “Arzanà de’ viniziani> …> “, oggi traducibile in Arsenale della burocrazia, dei romani, dei bizantini, dei blà-blà-blà.

Casso, uguale respinto. Precluso a ogni comprensione per il lettore medio del Gazzettino. Sono sicuro che tutti i cittadini avranno letto la cronaca di questi giorni. Non capita spesso che un sindaco prenda d’assalto con barche a vela e a remi un monumento storico per dire: è mio! Si parla di un monumento di 48 ettari, 1000 anni di storia, vanto e orgoglio produttivo della Serenissima, finito nella palude della burocrazia quando nel 1957 un decreto stabilì che il comando militare marittimo dell’Alto Adriatico doveva avere sede ad Ancona e non a Venezia. Ho controllato. Nelle cronache dei giornali locali nessuna nota, nessuna polemica stampa. Eppure era un fatto importante. Dal 1957 cominciò l’esodo degli arsenalotti, erano qualche migliaia, trasferiti a Porto Marghera. La Marina Militare ha i suoi meriti storici. Nel 1882 fece costruire alle Teze il primo incrociatore “a vela e a motore”, l’Amerigo Vespucci. Nel 1902 ideò la prima stazione “a forza e luce”, ovvero elettrica, per eleminare l’illuminazione a gas. Primato italiano. Tra il 1905 e 1909 uscirono dai cantiere dell’Arsenale i primi cinque sommergibili. Un vanto tecnologico. Nel 1982 (ma i tempi erano ormai grami) fu un ammiraglio dell’Arsenale, tale Fadda, che aprì le porte dello stesso alla città, organizzando un concerto di Claudio Baglioni proprio nella Darsena Grande. Chi veniva in barca a remi non pagava, chi a piedi un biglietto da 50 mila lire. Arrivarono tutti, a remi. Migliaia. Sembrava che i tempi dell’Arsenale estraneo alla città fossero cambiati. Sono passati 30 anni. Gli studi di Romano Chirivi, di Ennio Concina, le premesse teoriche del mitico Edoardo Salzano sono passati come l’acqua sotto i ponti. Possibile che a Venezia tutto si traduca in polemica e nel culto del non fare? L’Arsenale è circa un decimo della città, ha una darsena, una marina, esempio platenatario con cui l’ America’s Cup ha fatto vedere le potenzialità. La Biennale ne ha sviluppato l’epicentro delle sue fortuna recenti (basta leggere l’ultimo Arbasino su Venezia), Marco Paolini con i suoi spettacoli ne ha colto il pathos del luogo storico. E noi? Peggio dei capponi manzoniani. Giù botte, per farci del male. Ho letto i contributi di intellettuali sensibili, Stefano Boato, Francesco Indovina, Roberto D’Agostino, Alvise Zorzi. Tutto ruota attorno all’incasso. Ecco il motivo del mio incipit iniziale. L’incasso del canone che il Comune vorrebbe percepire al posto dello Stato. Incasso di circa tre milioni di euro che l’amministrazione locale dovrebbe riscuotere in caso di spending review al posto del potere centrale. Il “mondo s’è fatto massaio”, avrebbe urlato Pompeo Molmenti, un veneziano arrabbiato dell’800. Boato cita le scelte dei precedenti sindaci che con la consegna (1999) e la concessione (2004) avrebbero dato l’Arsenale nord al Consorzio Venezia Nuova e a Thetis, ovvero “ai poteri forti”. Ma il Consorzio è una impresa a termine che ha offerto e dà lavoro ai veneziani e Thetis, è una società locale nata dalle costole del Comune e del sapere del Cnr. Non è colpa di nessuno se una legge del 1973, stabilisce che Venezia è un problema di “preminente interesse nazionale”. Roberto D’Agostino, amministratore di Arsenale Spa, ex assessore all’Urbanistica, denuncia che così sarà “un luogo chiuso, separato alla citt> à e sottratto alle legittime aspirazioni dei cittadini veneziani”. L’Arsenale spa è formato dal 51% dal Demanio e dal 49% dal Comune. Agisce come una società privata e il controllo non è comunale. Per la spending review dovrebbe dovrebbe decadere la stessa società. L’art.19 bis della legge 135 che lo costituisce afferma che i soldi per la gestione e valorizzazione vanno tutti all’Arsenale. Viene da dire: ma ragazzi di cosa stiamo parlando? Poi la Marina Militare. Se Venezia è un patrimonio dell’Unesco non ha senso la presenza militare. E’ già protetta per conto suo senza bisogno di sommergibili e navi da guerra. Per l’Arsenale manca un ufficio di piano, ovvero un master plan. C’è veramente posto e spazio per tutti e quattro i soggetti principali. 1) Marina Militare, se pensa a utilizzi compatibili con la cultura, vedi l’esempio inglese del grande Arsenale di Chatam a Londra, trasformato in moderno museo della Marina. 2)  Comune, come ente territoriale di controllo. 3) Arsenale spa, come società di servizi. 3) Consorzio Venezia Nuova, per l’ultimazione del Mose, 4) Thetis, società per la manutenzione e la ricerca.

Io avrei, da veneziano che voga, ho solo un piccolo sogno. Ormeggiare le mia barca in Darsena Grande, transitare liberamente per il Rio delle Galeazze e l’Arsenale vecchio, bere uno spritz con gli amici alle Gaggiandre, cominciare una passeggiata entrando dalla porta principale (quella con i leoni rubati a Costantinopoli), godermi il panorama dall’alto della terrazza dell’appena restaurata torre ottocentesca dell’Alberatura. Chiedo troppo? Come veneziano lo pretendo.

Quanche centimetro quadrato di quei 48 ettari è anche mio.

di Maurzio Crovato

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