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Sapete la storia del Ponte de le Tette a Venezia?

Nel Sestiere di San Polo a Venezia, vi è un ponte dal nome davvero singolare: Ponte de le Tette, il ponte celebre per il suo nome pittoresco si trova in quello che, ai tempi della Repubblica di Venezia, costituiva un vero e proprio quartiere a luci rosse, in cui abbondavano i bordelli e spesso le prostitute si affacciavano alle finestre esponendo la merce.

Ora vi raccontiamo la storia, era il 1319 quando a Venezia morì l’ultimo discendente della ricca famiglia dei Rampani, i cui beni mobili e immobili, essendo egli privo di eredi e di testamento, passarono di proprietà alla Serenissima. Parte di questi beni consisteva proprio in alcuni edifici a San Cassiano, che nel 1421 il Governo, esasperato dal grande numero di prostitute che affollavano la città a ogni ora del giorno e della notte, adibì a case chiuse: da Ca’ Rampani, nome della dimora della ricca famiglia, deriva l’usanza di riferirsi alle meretrici come carampane.
Una di queste case di tolleranza si trovava proprio sopra al ponte de le Tette e pare che l’usanza di allettare i passanti mettendo in mostra i seni scoperti fosse una vera e propria imposizione del governo alle meretrici al fine di “distogliere con siffatto incentivo gli uomini dal peccare contro natura”.
Ebbene sì: la Serenissima incoraggiava l’esibizionismo delle prostitute per combattere l’omosessualità alquanto diffusa a Venezia tra il XV e il XVI secolo, fino a diventare un problema di stato. Le influenze di sodomia conseguenti al sempre crescente arrivo di mercanti proveniente dal Medio Oriente, al vivace miscuglio di popoli e, con essi, delle rispettive abitudini culturali, provocò una sorta di campagna della Repubblica mirata alla conservazione degli usi e costumi propri di una cultura eterosessuale.
Il mestiere più antico del mondo era, quindi, non solo tollerato, ma quasi, addirittura, favorito.

Il governo, inoltre, non mancò di regolamentare con rigide leggi il comportamento quotidiano delle signore: potevano uscire di casa, ma non allontanarsi dai confini del sestiere di lavoro, e alla terza campana della sera avevano l’obbligo di tornare ai loro alloggi, pena dieci frustate. Erano, inoltre, vietati loro l’abbordaggio di clienti nei periodi sacri del Natale, della Quaresima e della Pasqua (pena quindici frustate) e la frequentazione delle osterie, e potevano recarsi in centro città solo di sabato e indossando un vistoso fazzoletto giallo al collo come segno di riconoscimento. Il divieto assoluto di uscire dalle case chiuse vigeva, poi, per la giornata di domenica.

Carampana” oggi significa solo “donna vecchia e allampanata”(cfr De Mauro Paravia), caratteristica fisica quest’ultima che risale proprio a quel periodo e che pochi conoscono.
Infatti allora le prostitute, oltre ad esibire parrucche di quell’improbabile colore detto “rosso veneziano”, indossavano pure i calcagnini (o chopine), caratteristici zoccoli con la zeppa alta “un piede”, che le rendeva mezzo metro più alte delle altre donne.
Nel Settecento, secolo particolarmente disinibito moralmente, grazie a nuove leggi che volevano incrementare il turismo nella città, le prostitute giovani e belle poterono tornare indisturbate ad esercitare nel cuore di Venezia mentre a Ca’ Rampani rimasero solo le più anziane, che lì vivevano relegate come in ospizio continuando – se potevano – il loro antico mestiere a modicissimi prezzi imposti dal Governo, però con l’assoluta proibizione di mettere il naso per strada perché sgradevoli alla vista.

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